ATTORE TEATRALE
Nella scuola c’è chi sogna di fare…. il collaboratore: il Bidello narratore!
Si apre la storia, e ogni vita ha i suoi spiragli: quante meravigliose luci esistono nel mondo! Le mamme insegnano coi sorrisi luminosi e l’energia: le mamme ci hanno dato alla luce! Dalla nascita in poi il Bidello racconta felicemente le altre luci del mondo: dall’Alba che risveglia la Terra alla Lampadina dell’idea, dalle Stelle coi loro desideri alla Lampada della buonanotte! Ci sono luci negli occhi brillanti che escono dagli sguardi accesi: sono le emozioni pescate nel cuore col filo dei nostri sentimenti.
E’ naturale andare verso le luci perché la vita é energia, é uscire dal buio, é innamorarsi sotto la Luna e sentire che la luce dell’Arcobaleno ci può donare un segno di Pace.
Sette Luci, come le 7 note musicali su una scala capace di diventare casa dove arrampicarsi a cogliere nuovi bagliori e farsi tana per ritrovare il calore di chi ci vuole bene e ci insegna a non temere le ombre.
La Storia racconta le esperienze accidentali, curiose, attraenti e ricche di colpi di scena di una marionetta animata, Pinocchio, creata dalle mani di Mastro Geppetto, un povero falegname che ha ricevuto in regalo un pezzo di legno dal falegname Mastro Ciliegia, che in realtà se n’è disfatto credendolo un legno stregato.
Pinocchio, da burattino che vuol diventare bambino, dal volto tondo su cui cresce un naso di legno sempre più lungo ad ogni bugia pronunciata, diventa un’icona universale, una metafora della condizione umana che si presta ad una pluralità di interpretazioni. Oggi è diventato un capolavoro mondiale che ha ispirato centinaia di edizioni, traduzioni in 260 lingue, trasposizioni teatrali, televisive e cinematografiche.
“Bang Bang! Ptsciùùù! Puuk Puuuk! Ah…”: è l’attore che recita, entrando in scena.
Ci sono bambini e ragazzi che quando vedono queste scene di guerra, ridono.
Ci sono altri bambini che quando vedono altre scene di guerra, piangono. I bambini che ridono sanno che questo può essere un gioco, come uno scherzo, che fai finta di fare la guerra, fai finta di morire. I bambini che piangono sanno che la guerra non è uno scherzo, è una cosa brutta e vera: si muore davvero. Se sono i Grandi a decidere che inizierà la Guerra, quelli che finiscono male sono i più piccoli, che non c’entrano nulla con l’odio degli adulti. Perché i bambini, tutti, dovrebbero giocare, giocare insieme, pacificamente e fare i salti di gioia: non saltare in aria, fra lo scoppio delle bombe. Allora perché i Grandi folli decisero di fare la Guerra? Perché, ad un certo punto della II Guerra mondiale gli Alleati dell’Italia divennero i peggiori nemici e viceversa? Che cosa fu la Resistenza? Perché oggi è importante ricordarla, insieme alla nascita della Costituzione? C’è qualcuno che vuole essere più Grande degli altri, più Potente, che invece di essere un grande cuore diventa un pre-potente. Voglio di più, anzi: voglio tutto, anche ciò che non è mio! Lo voglio e quindi lo vorrete anche voi, perché così saremo il Paese più ricco e temuto del mondo! “La Guerra è la più grande lezione di storia che i popoli non hanno ancora imparato”. Certe storie dovrebbero essere note, ossia conosciute; certe note dovrebbero essere liete, anziché dolenti. La narrazione si anima grazie a canzoni popolari come “la Bandiera dei 3 Colori” e “Bella Ciao”, famose come “La Guerra di Piero” di De Andrè, “Il Disertore” di Vian, “Sigonella” e “Poca voglia di fare il soldato” di Fossati: sguardi diversi di fronte ai conflitti, s’intrecciano ad episodi salienti della II Guerra Mondiale, raccontati senza retorica, con l’emozionante consapevolezza del ruolo dei Partigiani all’interno della Liberazione. Conclude la trama “La Storia amorosa di Cecco e di Rosa”, il libro di M. Ivaldo: un messaggio di Pace e di Speranza.
“Questa è la storia di uno di noi” dice una canzone scritta nel 1966 che qualcuno, come me, ricorda e canta volentieri quasi 60 anni dopo.
E poi… “e questa a l’è a ma stöia e t’ä veuggiu cuntâ ‘n po’ primma ch’à vegiàià a me peste ‘ntu murtä e questa a l’è a memöia”: anche questa è una canzone, un’altra storia che ti voglio raccontare un po’ prima che la vecchiaia faccia con la memoria come il mortaio col basilico, a pestare. Ecco un racconto teatrale dove, a narrare, son le parole di alcune canzoni, saltando fra le storie come dita sulla chitarra a cercare note da un accordo all’altro, per esaltare personaggi realmente esistiti come il ciclista Girardengo o il volatore Lindbergh, o inventati come Bocca di Rosa, in realtà vissuti con mille nomi e altrettante vite. Ho usato le canzoni per parlare sin da bambino, e interpretavo Parlami d’amore Mariù sperando apparisse d’improvviso la bambina a cui dire “gli occhi tuoi belli brillano, come due stelle scintillano….” Così, vedendo la mia terra affondare spesso nel cemento “che ti chiude anche il naso” mi sono sentito un po’ il Ragazzo della Via Gluck che temeva di salire su un albero di 30 piani. Chi sono? Un paroliere creativo che al telefono rettifica il suo cognome, “no, non Vivaldi: Ivaldo”; ho amato, studiato e citato talmente Ivano Fossati che una fidanzata mi ribattezzò Ivaldo Fossati. Ripeto certe canzoni e sento che dentro, già pronta a fioriRE, c’è una poesia che emoziona e se scioglie il noDO, MI FA sognare per portarci LA’, dove, con la Luna o il SOL, SI raccontano memorabili storie.
Questa è anche la storia di Parlami d’amore Mariù. Da bambino la cantavo alla mia fidanzata. Immaginaria. Da grande le canzoni le ho usate per parlare. La musica l’ hanno composta loro, le mie donne imbiancate dell’Istituto Doria, la Casa di tutte e di nessuna. Fuori da ogni porta la scritta Reparto Donne: anche “Donne” scritto in maiuscolo. Da non scordare mai. Come i loro racconti: boccacceschi, unici, romantici. Con le immagini fotografate negli occhi, i ritornelli nelle voci. Gli amori incantati, sulle labbra. Da allora canto le serenate. Di giorno. E la vita continua a fare i dispetti alla morte. Facendo l’animatore, ho avuto la fortuna di scrivere e registrare per risentire quei valori, l’ironia, le emozioni cresciute nel tempo. Incominciai a farlo quando parlava mia nonna Maria. La chiamavano Miglia, e a me piaceva, perché lei aveva fatto tanta strada, e la ricordava tutta. Ebbe la fortuna di vivere tutta la vita in casa sua. Mi guardava negli occhi e mi chiedeva se ero innamorato, se avevo la bella. Rispondevo nel mio dialetto maccheronico. Rideva. “L’importante è capirsi “ diceva. “E lei chi è?” mi domandava. Il tuo ultimo amore? E allora sarà sempre il primo!” “Bisogna raccontare le cose… come sono”. E’ stata la persona più vera che abbia conosciuto.